"Si deve sempre rispetto alle religioni altrui.

Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre"

Editto XII 
del re indiano Ash
oka 
(III secolo a.C.)

 

Il dialogo interreligioso,
cammino di trasformazione interiore:

condizioni e implicazioni

Pierre-François de Béthune, OSB

 

Pubblichiamo qui, nella traduzione italiana realizzata da fr. Andrea di Dumenza, il testo dell’intervento di p. Pierre-François de Béthune OSB – già segretario generale del DIM dal 1985 al 2007 e consultore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso dal 1985 al 2001 – alle assise di “Les Voies de l’Orient” tenutesi a Bruxelles dal 29 maggio al 1° giugno 2014 (originale francese in Dilatato Corde, vol. IV/2). Esso costituisce un’ottima introduzione al testo che i partecipanti a quell’incontro – tra cui anche diversi membri di commissioni per il dialogo interreligioso monastico (DIM) – hanno redatto sul tema “Il dialogo interreligioso, cammino di trasformazione interiore”, un testo che invita e stimola a proseguire nel cammino del dialogo dell’esperienza spirituale.

Il racconto di un’esperienza sarà una buona introduzione a questa comunicazione. Ho avuto la possibilità di soggiornare qualche giorno a Benares. Ho percorso le stradine della città santa, andando di tempio in ashram, e soprattutto scendendo ai ghats, queste grandi scalinate che conducono al Gange. D’altronde, risiedevo a fianco del Das aswa meth ghat. L’ultimo giorno volevo dare l’addio al Fiume, ai piedi del mio ghat. Lì avevo potuto parlare con un anziano devoto e spiegargli quanto avessi ammirato quell’ambiente così intensamente religioso. Mi aveva allora chiesto che cosa aspettavo ad immergermi nell’acqua. Gli ho risposto che mi avevano intensamente sconsigliato di farlo a causa dell’acqua sporchissima… Dinanzi al suo sguardo stupefatto mi sono reso conto di quanto sarebbe stato stupido non accogliere quella grazia che mi era offerta. Mi sono quindi spogliato e mi sono immerso nel Fiume fino al collo. Avvolto dalla corrente, mi sono voltato verso la sorgente, le mani giunte e ho pregato…

Tale mi sembra l’esperienza del dialogo intra-religioso: immerso nel Fiume sacro dell’induismo, ero in preghiera verso la Sorgente da cui procede ogni grazia spirituale. Quando non mi sono più accontentato di guardare con simpatia, di ammirare e di tentare di comprendere, quando ho accettato, in nome della mia fede, di accogliere pienamente l’altro, di essere immerso in un’altra tradizione spirituale e penetrato dal suo fascino, allora è avvenuto qualcosa di nuovo. Ho vissuto una conversione, non un passaggio a un’altra religione ma un nuovo accesso al cuore della mia propria tradizione religiosa.

Ma prima di proseguire e vedere quali siano le condizioni e le implicazioni di questo percorso di incontro, voglio precisare ulteriormente che cos’è è questa esperienza.

I. Un incontro che ci trasforma

Vi sono diverse espressioni per dire ciò che è questo dialogo. Ne impiego cinque.

1) Innanzi tutto vi è l’espressione “dialogo intrareligioso”. Il termine può apparire ambiguo. Può indicare il dialogo che si vive all’interno di una confessione religiosa, ma in questo caso sarebbe meglio parlare di dialogo ecumenico. L’altra accezione è stata forgiata da Raimon Panikkar nel contesto interreligioso: “Il dialogo intrareligioso è esso stesso un gesto ‘religioso’. […] Avviene nel nucleo del nostro essere, nella ricerca della verità salvifica. […] Il dialogo intrareligioso è un dialogo interiore in cui si lotta con l’angelo […] e con se stessi. Il dialogo intrareligioso è un atto di assimilazione, che definirei eucaristica”[1]

2) Per evitare l’ambiguità del termine si parla volentieri di dialogo dell’esperienza religiosa, “dove persone radicate nelle proprie tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio per ciò che riguarda la preghiera e la contemplazione, la fede e le vie della ricerca di Dio o dell’assoluto”. È l’espressione che propone il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso nel suo documento Dialogo e annuncio[2].

3) Si potrebbe dire ancora che quest’esperienza realizza il dialogo nel senso più pieno: è una parola attraversata, secondo una probabile etimologia del termine “dia-logos”; è una parola di fede che si è lasciata toccare e trasformare da un’altra parola ed è diventata una parola ospitale.

4) Si è anche proposta l’espressione dialogo del silenzio[3]. Si tratta, in effetti, di una connivenza tacita su qualcosa di ineffabile. Questa paradossale espressione ben esprime la natura di quest’esperienza. Ovvio, a un certo livello, è necessario e perfino indispensabile un dialogo esplicito. Ma, trattandosi di realtà spirituali, questo dialogo è condannato a parlare solo di verità penultime; le parole si fermano alla soglia dell’indicibile, che è ciononostante l’essenziale! Quanto a lui, il “dialogo del silenzio” va più lontano, con molta umiltà. Un’immagine esprime bene questo percorso di incontro. Si è spesso proposta l’immagine della montagna che i fedeli delle diverse religioni scalerebbero, raggiungendosi sulla cima. Ma quest’immagine è fallace. Propongo un’altro genere di salita, quella di un vulcano in attività. I fedeli delle differenti religioni sono tutti attratti dalla sua cima. Ma, giunti più in alto possibile, scoprono la caldera, una bocca di fuoco che li affascina ma li tiene separati. Il dialogo intrareligioso è questo fascino comune, una comunione in una ricerca infinita. Ciò che ci raduna è ciò che ci supera.

5) Si deve parlare ancora di preghiera interreligiosa, come quella che si è vissuta ad Assisi il 27 ottobre 1986, quando tutti i partecipanti erano effettivamente uniti in una preghiera comune, al di là delle differenti formulazioni. Alcuni hanno sostenuto che non si trattasse che di preghiere giustapposte ma solo perché non erano presenti! “Essere oranti con gli oranti”, come hanno fatto i fratelli di Tibhirine, è la forma più intensa della comunione interreligiosa. Ma bisognerà precisare meglio a quali condizioni è praticabile.

Per poter accostare le esigenze del dialogo a questo livello, vanno ricordate ancora due sue altre caratteristiche.

Non bisogna mai dimenticare che il dialogo intrareligioso è innanzitutto un dialogo interreligioso. È contestualizzato. Fa parte di un’esperienza spirituale completa, sempre incarnata in un ambiente socio-culturale, persino politico, come i protagonisti del dialogo in Asia ci fanno ben comprendere. Per svilupparsi, vi è dunque bisogno di tutte le altre forme di dialogo: il dialogo della vita, delle opere e degli scambi espliciti.

Ma è ugualmente vero il contrario: senza il dialogo dell’esperienza spirituale all’orizzonte, le altre forme rischiano di mancare di respiro. L’impresa del dialogo interreligioso non è una bottiglia in mezzo al mare. Grazie alla testimonianza di coloro che hanno scoperto questa connivenza misteriosa tra le differenti spiritualità, le persone che si impegnano in una collaborazione multireligiosa per la giustizia e la pace o in uno scambio rigoroso nell’ambito delle dottrine e delle pratiche delle altre religioni, sanno che in definitiva tutte le religioni sono in qualche modo compatibili. A un livello che tutte le supera, possono comunicare e realizzare una segreta comunione. Il dialogo dell’esperienza spirituale è la chiave di volta del dialogo interreligioso. Se non fosse possibile incontrarsi in verità a questo livello, tutto l’edificio dell’incontro delle religioni sarebbe reso fragile, perfino condannato alla rovina.

II. Condizioni per impegnarvisi

Per abbozzare un’accoglienza interreligiosa al cuore della nostra vita spirituale, conviene verificare se ne siamo preparati. Vedo in particolare due condizioni previe.

Innanzitutto, il radicamento nella nostra tradizione. Thomas Merton al proposito ci ricorda: “Il nostro dialogo, che è un dialogo di contemplativi, deve essere riservato a persone disciplinate da anni di silenzio e da una lunga pratica di meditazione”[4]. Affinché l’esperienza dell’incontro sia fruttuosa, deve essere vissuta da persone che hanno raggiunto un’autentica maturità spirituale e quindi una libertà spirituale. Perché, per gettare un ponte, bisogna assicurarsi che il pilone su questo lato del fiume sia ben fondato sulla roccia. Altrimenti non si raggiungerà mai l’altra riva.

D’altronde, questa formazione deve anche essere intellettuale, teologica. Merton effettivamente aggiunge: “Vorrei aggiungere che deve essere riservato a coloro che si sono addentrati con tutta serietà nella propria tradizione monastica e hanno instaurato un contatto autentico con il passato della propria comunità religiosa”. Una fede “da carbonaio” è sicuramente rispettabile ma non può bastare per coloro che vogliono incontrare un’altra tradizione, perché c’è il rischio di fare solo confusione.

In secondo luogo, perché il dialogo sia intrareligioso, bisogna che la sollecitazione ricevuta dall’altra tradizione abbia effettivamente toccato il cuore degli interlocutori. È la seconda condizione. Una conoscenza oggettiva e benevola può non raggiungere ancora il fondo della persona. Si sono visti grandi conoscitori di un’altra religione frequentare per anni i maestri delle altre religioni senza che questo cambiasse la loro vita. Ma non bisogna temere che l’accoglienza concreta di un’altra spiritualità non destabilizzi chi vi si arrischia o rimetta in questione proprio le convinzioni che lo abitano. Perché, come si vedrà in seguito, in questo caso si mette in gioco una nuova dinamica spirituale. E noi possiamo già constatare che, se gli interlocutori sono ben formati, può essere molto feconda.

D’altra parte, così come questa formazione esige un’informazione particolare concernente la nostra propria tradizione, è evidente che una conoscenza oggettiva della tradizione incontrata è ugualmente indispensabile. Il buonsenso esige innanzitutto di assicurarsi che i testimoni della tradizione incontrata siano di qualità, per non rischiare di imbattersi in una setta. Ma la preoccupazione di ben conoscere la tradizione incontrata va affermata soprattutto per il rispetto e la probità intellettuale. Cosa pensare di un amico buddhista che pretendesse di conoscere e rispettare il cristianesimo ma che non avesse mai letto neppure un vangelo? E sono molti i cristiani che hanno letto il Dhammapada, la Bhagavad-gita o il Corano?

In breve, queste condizioni sono quelle dell’ospitalità: per ben accogliere un ospite, bisogna innanzitutto assicurarsi di avere una casa stabile per ospitarlo. Quindi, al fine di rispettare correttamente il nostro ospite, bisogna rispettarlo per quello che è, un altro, e di non volercene impossessare. Infine, come ne hanno intuizione tutte le tradizioni dell’ospitalità, dobbiamo ricordare che ogni ospite è anche un messaggero di Dio e domandarci ciò che vuole dirci per suo mezzo.

Allora si può realizzare un autentico dialogo “da fede a fede”, ossia a partire dalla nostra vita di fede e con la speranza di incontrare la fede del nostro interlocutore. Più concretamente ancora, direi che possiamo così realizzare un dialogo “da fedeltà a fedeltà”.





III. Tre tappe di incontro

Il cammino del dialogo interreligioso non è un percorso che si realizza una volta per tutte. Ogni incontro è una nuova vicenda. Non possiamo nondimeno notare che vi siano delle costanti in questo processo. E bisogna averlo percorso una volta per fare l’esperienza piena del dialogo interreligioso.

1.    Impoverimento

La prima esperienza che scopre colui che si espone senza reticenza a un tale dialogo è una perdita di riferimenti e un certo smarrimento. Normalmente da un incontro attendiamo che ci arricchisca e che offra delle spiegazioni e delle assicurazioni nuove. Ed effettivamente gli scambi interculturali e interreligiosi ne apportano enormemente. Almeno a un certo livello, quello di cui vogliamo parlare. L’esotismo affascina sempre. Ma a un livello più profondo, quello delle nostre fedeltà, questi incontri generano anche delle domande serie. Prendiamo coscienza che le nostre tradizioni si sono molto arricchite e sono divenute più complesse nel corso dei secoli, a loro difesa e spiegazione. Hanno anche avuto la tendenza a produrre una corazza protettiva per difendere la loro identità ed escludere radicalmente ogni nuovo e possibile ripensamento. Ora, queste ricchezze e convinzioni si rivelano spesso meno evidenti ed essenziali quando scopriamo che altre tradizioni le hanno ugualmente sviluppate.

L’incontro interreligioso nel profondo conduce pertanto necessariamente a una relativizzazione delle nostre tradizioni. Questo non deve condurre al relativismo – che è una ideologia – perché l’esperienza spirituale è a un altro livello. Ma quest’incontro opera, in ogni caso, una decantazione, e perfino un certo spogliamento delle nostre certezze. Quando ci lasciamo immergere nell’universo spirituale delle altre tradizioni possiamo ritrovarci smarriti, spossessati e più vulnerabili. Ma questa situazione in cui siamo sfidati nel render conto della nostra fede più fondamentale è allora un’occasione per sviluppare una fiducia più intensa. Sì, un certo smarrimento si rivela una condizione particolarmente propizia per vivere l’accoglienza dell’altro in nome della nostra fede, perché mette a nudo il nostro cuore e sviluppa una nuova forma d’umiltà. E scopriamo che non è che cambiando le nostre ricchezze dottrinali, culturali e spirituali che noi realizziamo la comunione dei cuori ma condividendo le nostre povertà, i nostri interrogativi.

Alla fine si comprende che questa povertà così vissuta è in realtà una beatitudine evangelica. La pratica del dialogo intrareligioso può pertanto essere un cammino di conversione evangelica.

2.    Trasformazione

Quando il cuore è toccato, perché messo a nudo, allora può essere trasformato. Coloro che escludono a priori ogni possibilità di cambiamento nel corso di un incontro, lo riducono a una visita di cortesia. Perché si sa bene che l’accoglienza dell’alterità altera. Non si esce indenni da un incontro autentico.

Ancora, bisogna assicurarsi di avere la maturità spirituale sufficiente per esporci a tale scambio. Il confronto con una fede religiosa proveniente dall’esterno è in qualche modo una sorta di prova del fuoco. Certamente, vi sono cambiamenti che sfigurano e snaturano – il ceppo esposto al fuoco sarà presto ridotto in cenere – ma in altri casi l’esperienza è del tutto positiva, e la trasformazione rivela addirittura la nostra vera natura e le sue possibilità ancora insospettate. Per sostenere questa tesi, mi piace evocare la parabola del vasaio. Lavora con il fuoco. Il suo lavoro consiste nel modellare un vaso, una scodella, una brocca. Prende della terra e vi dà una bella forma. La lascia seccare quindi pone delicatamente nel forno questa modellatura ancora incolore e fragile. Il pezzo che esce dal forno, dopo la cottura, è certamente lo stesso che era stato messo precedentemente ma non è più lo stesso! Ha la medesima forma e non vi è stato aggiunto un solo grammo di terra ma è tutt’altro: ormai è più solido, ha acquistato un nuovo colore ed ha anche una nuova sonorità. Il fuoco ha fornito tutte le sue qualità al lavoro del vasaio.

Questo si verifica a ogni incontro interpersonale sincero. Esponendoci in qualche modo all’irraggiamento di un’altra persona, scopriamo di venire trasformati. Se le circostanze di quest’incontro sono buone, la presenza dell’ospite è una grazia. San Benedetto domanda nella sua Regola che lavando i piedi degli ospiti di passaggio si canti il versetto salmico: “Abbiamo ricevuto la tua misericordia in mezzo al tuo tempio”. L’accoglienza non è soltanto un servizio reso; è soprattutto una possibilità di rinnovamento. L’incontro interreligioso è un esempio significativo di una tale trasformazione che può rivelare delle possibilità insospettate della nostra propria tradizione.

3.    Unificazione

In una terza tappa il cammino dell’incontro riporta il pellegrino a casa e gli permette di ritrovare una nuova unità interiore.

Il primo incontro con un’altra tradizione provoca di fatto uno sconvolgimento e talvolta perfino un certo smarrimento. La tradizione originale è compromessa da un’altra di cui si è scoperto il fascino. Per alcuni, come per il padre [Vincent Shigeto] Oshida, nel 1943, questa scoperta aveva condotto a una conversione che implicava addirittura il rigetto della propria appartenenza originale al buddhismo. Ancor oggi siamo testimoni di tali conversioni quando dei cristiani scoprono il buddhismo o viceversa. E verifichiamo che in tali casi non vi è normalmente più spazio per un dialogo interreligioso; la convinzione è esclusiva; non resta che un monologo. Ciononostante – e ne siamo altrettanto spesso testimoni – viene il momento di una riconciliazione. Con la crescita di una maturità spirituale, proprio grazie alla religione nuovamente abbracciata, l’atteggiamento esclusivo si rivela limitato e sterile. Allora può cominciare il vero dialogo, quando si sono ritrovate le proprie radici spirituali, ormai disincantate. Come diceva il padre Oshida successivamente: “Sono un buddhista che ha incontrato il Cristo”.

La vita in dialogo favorisce anche un’unificazione di tutta la persona. Questa unificazione è dinamica: non è una sintesi, uno stadio finale dell’incontro in cui il movimento potrebbe arrestarsi. Non si tratta quindi della creazione di una nuova spiritualità, ibrida, che prenderebbe in prestito i propri elementi qua e là. Questo è stato il caso soprattutto all’epoca delle prime scoperte dell’oriente da parte degli occidentali. Penso qui alla “teosofia”. Ma questo non ha molto a che vedere con il dialogo intrareligioso. Alcuni cristiani che non hanno fatto l’esperienza di un dialogo nel profondo temono ancora oggi che questo non porti che a un sincretismo, e gettano discredito su ogni tipo di dialogo, tanto o poco impegnato. Ma poco a poco il discernimento cresce, grazie alla testimonianza di persone come i padri Oshida e Amaladoss, o Claire Ly. In precedenti assise questa questione della “doppia appartenenza” è stata ampiamente studiata.

IV. Implicazioni del dialogo intrareligioso

Oggi tutti riconoscono l’importanza e perfino la necessità del dialogo interreligioso per la pace nel mondo. Il dialogo della vita quotidiana, delle opere comuni e dei teologi è indispensabile per il futuro del mondo.

Quanto all’incontro al livello più profondo, tanto interreligioso quanto quello riguardante differenti convinzioni, è indispensabile per il futuro delle religioni. Per affrontare le questioni che il mondo attuale pone loro e che testimonia, ad esempio, il vuoto delle chiese e dei templi, le religioni non possono più trovare risposte soltanto nella loro stessa tradizione. A questo stadio, un atteggiamento autoreferenziale è sterile. Una società in crisi non può trovare dei rimedi in ciò che ha provocato la crisi. Non è questo il luogo per elencare le caratteristiche della chiesa cattolica che hanno contribuito a generare i problemi attuali. Ripeterei soltanto, con Adolphe Gesché: “Non è bene per il cristiano essere solo”.

Non sono quindi le altre religioni che salveranno la chiesa! È l’atteggiamento di accoglienza che è decisivo per la sua sopravvivenza. Una volta si ripeteva: “Fuori della chiesa non c’è salvezza”. Oggi direi piuttosto: “Fuori del dialogo non c’è salvezza per la chiesa”. D’altronde, questo dialogo non si intreccia soltanto con le altre religioni. Prende vita con tutti gli esseri umani e tutto quanto essi creano, tutti questi “segni dei tempi” di cui parlava Giovanni XXIII. Soltanto, questo dialogo si sviluppa in modo particolarmente felice tra le spiritualità, perché, come abbiamo visto, in questo caso, si possono realizzare una grande connivenza e una grande emulazione. Questo dialogo mi sembra emblematico per ogni incontro umano fecondo e creatore di futuro. Questo per dire l’importanza del contributo di tutti coloro che si impegnano in una ricerca spirituale in dialogo.



[1] R. Panikkar, Il dialogo intrareligioso, in Opera Omnia, vol. VI/2, Jaca Book, Milano 2013, p. 17.

[2] Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Dialogo e annuncio § 42, in Enchiridion vaticanum, vol. XIII, Edizioni Dehoniane Bologna 1995, p. 208.

[3] Cf. Speaking of Silence, a cura di S. Walker, Paulist Press, New York 1987.

[4] Th. Merton, “Esperienza monastica e dialogo est-ovest”, in Diario asiatico, Garzanti, Milano 1975, p. 283.


 

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