"Si deve sempre rispetto alle religioni altrui.
Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre"

Editto XII 
del re indiano Ash
oka 
(III secolo a.C.)

 

La contemplazione di Dio nel sufismo I

Sintesi storica e riflessione teologica

 

di Giuseppe Scattolin, mccj

(Pontificio istituto di studi arabi e islamistica, Roma)



[Conferenza tenuta al convegno La contemplazione di Dio nell'induismo, nel monachesimo benedettino e nel sufismo, organizzato dal DIM e tenuto ad Assisi dal 13 al 17 luglio 2005]

 

"Le menti umane quanto più si inoltrano nel tawhîd

tanto più si inoltrano nella perplessità (hayra)"

(al-Junayd, III/IX sec.)




Premessa: il rapporto tra islam e sufismo

 

 

Prima di parlare direttamente del tema proposto "La contemplazione di Dio nel sufismo", credo opportuno proporre alcune riflessioni preliminari per meglio comprendere la mistica islamica o sufismo. Per un suo approfondimento ulteriore, rimando a quanto ho scritto altrove.

La mistica islamica, o il sufismo, è stata oggetto di discussioni antiche e moderne fra chi la riconosce parte della religione dell'islam e chi la rifiuta. Ma non c'è dubbio ora che la mistica islamica è riconosciuta da parte dei più grandi studiosi sia occidentali che musulmani come parte integrante dell'islam, come una sua dimensione essenziale (secondo il titolo di un noto libro di Annemarie Schimmel). Basterebbe ricordare che il più grande teologo dell'islam sunnita, come tale riconosciuto dalla maggior parte dei musulmani, Abû Hâmid al-Ghazâlî (m. 505/1111) è stato un grande esempio di pratica e di teoria del sufismo, tanto che nella sua summa ha messo il sufismo alla sommità della vita spirituale dell'islam. Del resto si può facilmente notare che il rifiuto del sufismo è avvenuto per lo più e avviene tuttora su basi estrinseche ad esso, cioè per motivi ideologico-politici.

Con questo non si nega che il sufismo, come del resto tutte le altre scienze islamiche, possa avere subito, e di fatto ha subito l'influsso di correnti spirituali extra-islamiche. Questo tuttavia non mette in forse la sua originale sintesi fra la fede islamica e i vari influssi extra-islamici. Come pure non si nega che fra il sufismo e l'islam giuridico, rappresentato dai dottori della legge islamica (ulema) ci siano stati e continuano a esserci conflitti, molte volte anche violenti, fino al vero martirio (vedi la vicenda di al-Hallâj, 309/922). Ciò nonostante, oltre al fatto che conflitti simili si trovano in tutte le religioni, nessuno può dire che la religione dei giuristi, o meglio la loro interpretazione di essa, sia la sola vera che deve essere accettata, e quella dei mistici no. Tanto più che nell'islam sunnita non esiste un chiara autorità in materia e il tutto viene deciso per un certo consenso comune non sempre facile a definire. I sufi comunque da parte loro hanno sempre avuto chiara coscienza di essere musulmani, anzi di essere quelli che hanno cercato di realizzare la vera realtà della religione, come vedremo.

 

 

 

1. Problematica dell'idea di contemplazione di Dio nell'islam

 

 

1.1. Il vocabolario sufi della contemplazione

 

Contemplare qualcosa significa vedere tale cosa, anzi vederla con intensità e costanza. Questo può avvenire sia a livello puramente fisico che interiore. Quest'ultimo senso ha preso indubbiamente il sopravvento nell'uso del termine. Anche la lingua prima dell'islam, cioè l'arabo, ha sviluppato un vocabolario simile per descrivere tale atto di visione interiore di cui parlano i sufi.

Il termine più vicino al nostro contemplare è mushâda (shuhûd e altri derivati), termine che indica uno sguardo prolungato su di un oggetto. Ma anche altri termini derivati da altre radici, come ru'ya, mu'âyana, connessi con il termine 'ayn (occhio), come pure i termini connessi con nazar (sguardo). Da notare che alcuni derivativi della radice di mushâda hanno anche il senso di testimoniare, testimone (shahâda, shahîd...), così come il greco martyr (martire).

Questi termini applicati a Dio indicherebbero che Dio è "oggetto di contemplazione", di visione da parte dell'essere umano. Ma può Dio essere oggetto di visione secondo il pensiero islamico il quale volentieri sottolinea piuttosto il suo aspetto trascendente, imperscrutabile? Questa è una questione di non facile soluzione. Intendo delinearne alcuni tratti fondamentali.

 

 

1.2. La questione della visione di Dio nell'islam

 

Occorre vedere prima di tutto se nell'islam è ammessa una "visione di Dio" e a che condizioni. Tale questione è stata molto controversa (questio vexata) nella tradizione del pensiero religioso islamico.

 

a. Nelle fonti islamiche: il Corano e la tradizione del Profeta dell'islam, Muhammad

 

Il testo coranico, com'è noto, sottolinea fortemente la trascendenza di Dio, che è sempre al di là di ogni presa umana. Contro ogni forma di antropomorfismo il Corano mette in primo piano il mistero assoluto di Dio. Dio è il Mistero (ghayb) assoluto: "Dio solo conosce il Mistero (ghayb), e a nessuno Egli manifesta il suo Mistero" (Corano 72,26). Dio è quindi al di là di ogni presa umana: "Gli suardi non lo percepiscono, ma Egli percepisce gli sguardi, Lui è il Sottile (Onnipervasivo) e l'Informato" (Corano 6,103). A Mosè che chiede di vederlo Dio risponde drasticamente: "Non mi vedrai" (lan tarânî) (Corano 7,143).

Tali affermazioni sembrano negare in modo assoluto la possibilità della visione di Dio nell'islam. D'altra parte in un unico versetto coranico si afferma una specie di visione di Dio nel giorno della resurrezione: "In quel giorno ci saranno volti lieti, guardanti verso il loro Signore" (Corano 75,23). Che significa? Tale versetto ha aperto la porta a infinite discussioni in materia.

La tradizione del Profeta dell'islam, Muhammad, sembra offrire più spunti per una possibilità della visione di Dio. Nei racconti del suo viaggio notturno (isrâ') e della sua ascensione (mi'râj) al cielo si ammette, secondo la maggior parte delle versioni, che egli è giunto alla visione diretta di Dio; ma altre versioni la negano. Un famoso hadith afferma che noi vedremo Dio come in una notte chiara vediamo la "luna piena". Quindi sulla base di questi testi una certa visione di Dio sarebbe possibile.

 

b. Nella tradizione teologica sunnita

 

Di fronte a dati così labili e contraddittori, i teologi musulmani hanno discusso a lungo sulla possibilità e le modalità della visione, giungendo a posizioni divergenti. La teologia islamica classica (kalâm) ha strutturato il trattato su Dio secondo tre livelli o piani di considerazioni. 
     Muhammad Âbduh (m. 1905), uno dei più importanti teologi riformatori moderni, nel suo Trattato sul tawhîd (Risâla fî l-tawhîd), nel capitolo intitolato appunto "L'Unità" (al-wahda) riassume la dottrina classica di Dio nell'islam. L'unità di Dio può essere considerata secondo tre livelli fondamentali, e cioè:

  • l'Essenza Divina (al-dhât): a questo livello Dio è essenzialmente Uno, con l'esclusione di ogni forma di composizione (tarkîb);
  • gli attributi o le qualità divine (al-sifât): a questo livello ogni somiglianza (tashbîh) fra Dio e le creature deve essere esclusa. Dio è assolutamente trascendente e nessuna somiglianza può esistere fra Lui e gli altri esseri, come dice il testo coranico: "Nulla è simile a Lui" (laysa ka-mithli-hi shay': Corano 42,11);
  • il livello dell'esistenza e delle operazioni Divine (al-wujûd wa-l-af'âl); a questo livello Dio non ha eguale (kuf'), né associato (sharîk), né oppositore (didd). Dio (Allâh) è unico (farîd) nella sua esistenza e nelle sue operazioni, perciò Egli è qualificato con la qualità di unicità incomparabile (tafarrud or fardâniyya).

Attorno a tali concetti si è sviluppata in islam una profonda e accesa controversia, che non sembra abbia trovato una soluzione finale. I mo'taziliti del II-III/VIII-IX per salvare la trascendenza di Dio negarono ogni distinzione fra Essenza e attributi in Dio, nel senso che tali atttributi sono nomi umani per indicare l'unica realtà trascendente di Dio, la sua essenza. Al contrario, per preservare il testo coranico da ogni interpretazione troppo razionalista, i sunniti sostengono che i testi coranici riguardanti le qualità divine vanno accettati così come suonano senza chiedere troppi "perché" (bi-lâ kayfa). Quindi le qualità divine sono reali, esistono in lui in un modo che non conosciamo. Gli ash'ariti, la corrente mediana, ammette che Dio può essere contemplato a partire dalle sue azioni-effetti, per giungere ad una certa visione-contemplazione della sua Unità assoluta (wahda), la sua qualità fondamentale. Però Dio non può essere visto nella sua essenza, questa rimane per sempre avvolta nel mistero assoluto ed inviolabile della sua Divinità.

In conclusione, appare chiaro che la questione dell'Unità divina (wahda) è fondamentale nella fede e nel pensiero islamico, e quindi anche nel sufismo, che si è sviluppato all'interno di tali problematiche teologiche. Il tawhîd, che indica appunto la professione e la coscienza della Unità divina (wahda), è pure il centro dell'esperienza e della riflessione, e quindi anche della contemplazione (mushâhada) dei sufi. Questi però, basandosi sulla loro esperienza interiore, articoleranno in modo molto più dinamico le rigide posizioni dei teologi.

 

 

1.3. La centralità di Dio nella vita e fede dei musulmani

 

Oltre l'aspetto delle discussioni teologiche, occorre considerare pure l'aspetto pratico e vissuto del tawhîd, cioè della professione e coscienza della Unità divina (wahda). Infatti, Dio per l'islam, come dovrebbe essere per tutte le religioni, non è prima di tutto un oggetto di discussioni teoriche fra teologi, ma è prima di tutto una realtà vissuta nel concreto della vita del credente. Il nome di Dio infatti ha una centralità assoluta nella vita e nel parlare di ogni musulmano: Dio è la realtà attorno cui ruota tutta la vita del credente musulmano. Tale fatto è ricordato in mille espressioni che scandiscono ogni evento della sua vita. Dai saluti quotidiani ai momenti più drammatici di essa come la nascita e la morte, sulla bocca del musulmano ricorrono spontanee espressioni come al-hamdu li-llâh (lode a Dio!), in shâ' Allâh (se Dio vuole!), ecc. Dall'arabo tali espressioni sono state riprese nelle lingue degli altri popoli musulmani, come i persiani, turchi, ecc.

Questa esperienza quotidiana trova conferma e amplificazione nella storia dell'islam, storia ricca e complessa. Lungo tutta la sua storia l'islam mostra che il suo estendersi attraverso lo spazio e il tempo ha sempre trovato il suo centro e la sua forza portante nel messaggio di cui si sente il latore privilegiato: il monoteismo assoluto (tawhîd). Questo è il fattore che unifica in certo senso tutta la storia dell'islam, al di sopra e al di là di altri fattori che hanno pure contribuito alla sua crescita ed espansione. Il grande orientalista G. E. von Grünebaum, afferma che a differenza di altri popoli (vedi le invasioni germaniche nell'impero romano), gli arabi musulmani quando uscirono dalla penisola arabica alla conquista del mondo avevano già una chiara visione della loro missione nel mondo:

 

"L'islam aveva fatto degli arabi convertiti il centro di una visione universale del mondo, e di conseguenza, quando il tempo venne, il centro di uno stato universale... L'arabo musulmano aveva il suo centro di gravità in se stesso. Il suo era un popolo eletto, e il dominio appartiene agli eletti".

E specificando meglio, egli afferma che questa visione universale del mondo era centrata proprio nel messaggio religioso del "più assoluto monoteismo" (tawhîd) di cui i musulmani si sentono i latori privilegiati per il mondo intero. È a questo livello credo che si debba cerca la forza storica dell'islam, forza che non si è smussata nemmeno nel nostro tempo.

Questa è la dinamica che ha mosso pure tutta la storia della mistica islamica, il sufismo: cioè la tensione verso Dio, tensione che va dall'esterno verso l'interno, e di lì si trascende in Dio. E uno studio attento della mistica islamica rivela che il suo fondamento primo o il suo punto di partenza deve essere ricercato prima di tutto proprio nella stessa professione di base della fede islamica, cioè la testimonianza e la coscienza dell'assoluta Unità e Unicità di Dio (tawhîd): "Non c'è dio se non il Dio (Allâh)". È questa formula continuamente ripetuta che plasma la vita, la coscienza e il pensiero del musulmano. È questa anche la sorgente dell'esperienza dei mistici dell'islam, i sufi. Questi infatti non furono prima di tutto uomini di pensiero ma di azione pratica.

Un detto, attribuito a Sahl al-Tustarî (m. 283/896), ben esprime tale centralità della realtà di Dio nella vita dei musulmani, centralità che i sufi cercheranno di realizzare al suo massimo grado:

 

"Dio è la direzione (qibla) dell'intenzione (niyya),

l'intenzione è la direzione del cuore (qalb),

il cuore è la direzione del corpo (jism),

il corpo è la direzione delle membra,

le membra sono la direzione dell'universo creato (kawn)".

 

Anche l'islam, nel corso della sua storia, ha subito certamente molte influenze da parte delle varie culture con cui è venuto in contatto: prima di tutto il cristianesimo e l'ebraismo, ma poi anche le altre culture in cui esso è penetrato sia in modo bellicoso che pacifico. Ma occorre ugualmente sottolineare che, nonostante la varietà delle sue vicende epocali, l'islam, e il sufismo in esso, ha conservato senza dubbio la sua dinamica fondamentale, cioè la sua tensione verso l'unità di Dio, accostata mediante la sua formulazione coranica. A mio parere è proprio tale dinamica che alla fine si rivela essere il centro unificante di tutto il movimento religioso dell'islam. 
     Il sufismo quindi si colloca storicamente all'interno di tale dinamica propria della fede islamica, ed è solo in tale luce che può essere adeguatamente compreso. Anzi esso è stato in moltissimi casi la forza interiore che ha animato e fortificato mediante la sua esperienza concreta la comunità islamica nei periodi più critici della sua storia.

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