"Si deve sempre rispetto alle religioni altrui.
Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre"

Editto XII 
del re indiano Ash
oka 
(III secolo a.C.)

 

Il dialogo interreligioso monastico: storia e spiritualità

 

di Paolo Trianni

(Pontificia università gregoriana - Pontificio ateneo Sant'Anselmo)


 

 

[Sintesi della conferenza tenuta a Roma il 28 aprile 2011, presso la parrocchia San Giuseppe da Copertino, all'interno di un ciclo organizzato dalla Fraternità dell'Ordine francescano secolare]

 

 

 

Introduzione

 

Il Dialogo Interreligioso Monastico (DIM) è un'organizzazione ecclesiale piuttosto recente, ma molto attiva, intorno alla quale gravitano e hanno gravitato figure religiose straordinarie. Io invito quelli che tra di voi sono alla ricerca di alimento spirituale, a leggere i libri di questi personaggi: stiamo parlando, solo per fare alcuni nomi, di autori come Thomas Merton e Vincent Oshida, che hanno dialogato con il buddhismo zen, o di personaggi come Jules Monchanin, Henri Le Saux, Bede Griffiths, che hanno invece dialogato con l'induismo.

Stasera vorrei parlare della storia del DIM, ovverosia quando è nato e come, e della spiritualità e della teologia che gli sono propri.

 

 

Storia e fondazione del DIM

 

Venendo alla storia del DIM. Intanto ha una sede fisica che è il monastero benedettino di San Pietro ad Assisi. Le origini storiche remote del DIM si devono rintracciare nel rinnovamento monastico che c'è stato alla fine del XIX secolo. Perché successivamente, Pio XII, nel 1957, fece un appello alla missione con l'enciclica Fidei donum, e questo appello fu accolto anche dai monaci. Due anni dopo, infatti, nel 1959, gli abati riuniti in congresso al Pontificio ateneo Sant'Anselmo di Roma, accolsero l'invito del papa. Venne pertanto decisa la creazione di un'istituzione che prese il nome di AIM (Aiuto all'Impiantazione Monastica), quindi con uno scopo missionario. Poi nel 1967 questa struttura fu ribattezzata Aide Inter-Monastères (Sostegno intermonastico), per evitare ogni sfumatura colonialistica. Quindi il DIM, il dialogo interreligioso monastico, è nato proprio all'interno dell'AIM, anche se la sua formalizzazione come ente autonomo rispetto all'AIM, con un suo segretario indipendente, è arrivata solo nel 1993 a Gottweig, in Austria. In quella sede si sono unificate due sottocommissioni nate già nel 1977: quella francese DIM (Dialogue Interreligieux Monastique) e quella nord americana MID (Monastic Interreligious Dialogue), sotto un segretario comune, e più propriamente, unendo la sigla francese e quella americana. Oggi, infatti, si parla più propriamente di DIM/MID.

Si può dunque capire che il cammino che ha portato dall'AIM al DIM è stato piuttosto complesso sia sul piano amministrativo - perché per esempio i responsabili dovevano decidere a chi e a quale attività destinare i fondi se alla costruzione di monasteri o al dialogo - sia sul piano teologico. Diciamo che progressivamente i monaci hanno capito che era necessario distinguere la missione dal dialogo, proprio perché non sono la stessa cosa.

E ci sono alcune date, alcune tappe importanti da ricordare che hanno portato alla creazione e all'autonomia del DIM/MID. In primo luogo due eventi che vennero organizzati quando ancora c'era l'AIM: il congresso di Bangkok nel 1968, e quello di Bangalore nel 1973. Il congresso di Bangkok fu un evento di portata storica, l'abate Tholens parlò di pentecoste del mondo monastico, e tra l'altro il segretario di Stato fece pervenire un telegramma di sostegno da parte di Paolo VI. Purtroppo l'evento fu funestato dalla morte accidentale di Thomas Merton. In questo convegno, in ogni caso, si capì l'importanza del dialogo con le religioni asiatiche. Questo discorso venne poi portato avanti nel 1973 a Bangalore, il cui tema centrale fu appunto l'esperienza di Dio. Poi c'è stato un terzo convegno panasiatico a Kandy, che è un luogo storico per il buddhismo di Ceylon, nel 1980, e, negli anni successivi, altri incontri ancora.

Ci sono anche state, diciamo così, due consacrazioni ufficiali da parte della chiesa.

Il 12 giugno 1974 il cardinale Sergio Pignedoli, Presidente dell'allora Segretariato per i non cristiani, scrisse una lettera, firmata anche dal suo segretario Pietro Rossano, all'abate primate, nella quale si riconosceva il ruolo determinante dei monaci nell'incontro con le altre religioni, specialmente quelle asiatiche, dove appunto la dimensione monastica è centrale.

Un incoraggiamento importante è arrivato anche da Giovanni Paolo II nel 1984, nella sua allocuzione al Segretariato per le religioni non cristiane, durante il quale lo ha incoraggiato. Disse: "Tutti i cristiani sono chiamati al dialogo. Se la specializzazione di alcuni è assai utile, l'apporto degli altri costituisce un importante contributo. Penso in particolare al dialogo intermonastico e a quello degli altri movimenti, gruppi e istituzioni".

 

 

Spiritualità e senso di un dialogo interreligioso specificatamente monastico

 

Passando dalla storia alla teologia, in concreto che cos'è il dialogo interreligioso monastico? È un dialogo portato avanti da monaci, o comunque in un ambiente monastico, che ha una caratteristica peculiare, spiegata, per esempio, dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che in suo documento, Dialogo e annuncio, distingueva quattro forme di dialogo: dialogo di vita, dialogo dell'azione, dialogo concettuale e dialogo dell'esperienza. Il DIM si occupa in primo luogo di quest'ultima forma. È il dialogo dell'esperienza religiosa, o, se preferite, della contemplazione, delle mistiche.

Da questo punto di vista, anzi, quello del DIM si può definire dialogo intrareligioso. Questo è appunto un neologismo di Raimon Panikkar, ovverosia un invito a vivere le altre religioni dall'interno, attraverso i loro stessi scritti, attraverso le loro stesse pratiche, attraverso la condivisione della loro stessa vita. Il dialogo intrareligioso è la premessa stessa del DIM, che ospita nei propri monasteri monaci di altre religioni e che va ospite nei monasteri zen o ashram e condivide le loro pratiche e le loro regole.

Si possono quindi elencare tutta una serie di ragioni che giustificano e danno senso al DIM:

·                     Un dialogo interreligioso monastico ha senso perché il monachesimo c'è in tutte le religioni (persino nell'islam, che è critico verso il monachesimo, ci sono delle comunità sufi che hanno vari aspetti monastici). Le religioni asiatiche, per esempio, sono tutte essenzialmente monastiche.

·                     Ha senso perché la spiritualità e le regole della vita monastica sono in tutte le latitudini simili (e quindi c'è la possibilità di un confronto costruttivo).

·                     Ha senso perché le radici dello stesso monachesimo cristiano sembrano essere in India. Questo lo riconosceva anche Jean Leclercq, il quale si chiedeva se "i monaci cristiani non fossero gli eredi degli antiche rinuncianti indiani". Quindi incontrare i monaci dell'Oriente è un po' tornare alle radici remotissime del monachesimo.

·                     Ha senso perché tutte le ascesi monastiche si fondano sulla contemplazione e quindi c'è la possibilità un raffronto tra spiritualità.

·                     Ha senso perché, al di là degli aspetti problematici, la vita di attenzione di preghiera può essere migliorata dalle pratiche ascetiche che fanno altri monaci (lo yoga, lo zen, le varie meditazioni, la musica, eccetera).

·                     Ha senso perché i monaci possono aiutare i cristiani che si sono allontanati dalla loro fede perché si sentono attratti dallo yoga e dalla meditazione. Qualcuno ha proprio invitato i monaci, che sono per eccellenza dei contemplativi, a specializzarsi in tali tecniche per fare da guida e discernimento agli altri cristiani.

·                     Ha senso il dialogo dei monaci, perché i monaci sono profeti. E questa è un'epoca che chiede profetismo, perché è un'epoca di grandi cambiamenti di grandi incontri culturali. Quello attuale, quindi, è un momento epocale che richiede teologi profeti, e chi sono i monaci se non profeti? Leclercq, appunto, spiegava perché proprio i monaci devono assumersi questo compito profetico: "Nella sua storia la chiesa ha già incontrato importanti correnti di pensiero che le erano in un primo tempo estranee; ed è capitato che tali confluenze fossero determinanti per una nuova avanzata della fede e della santità. Non spetta forse ai monaci essere, al loro livello, gli artefici di questo incontro storico?". E ancora: "Allo stesso modo in cui i padri della chiesa, i padri del deserto, i padri di Citeaux o quelli del concilio Vaticano II hanno modificato il corso della storia e dato l'impulso necessario all'evoluzione della chiesa, noi crediamo che questi pionieri del dialogo saranno a loro volta all'origine di mutamenti decisivi in termini di pensiero e comportamenti".

 

Il dialogo, inoltre, ha senso perché il dialogo stesso è una forma di spiritualità. Il dialogo è in se stesso una via spirituale. Si possono, anche in questo caso, elencare una serie di spiegazioni del perché il dialogo è una forma di spiritualità:

·                     In primo luogo pensiamo al valore dell'ospitalità. All'importanza che essa riveste nella Regola di Benedetto al cap. 53: "Come si ricevono gli ospiti"). E questo primato dell'ospitalità c'è in tutte le religioni.

·                     In secondo luogo il dialogo ha un fondamento evangelico: il vangelo annuncia l'amore per chi crede diversamente e la consapevolezza che il divino dimora in ciascuno.


           Altri aspetti che si possono ricondurre ad una spiritualità del dialogo, sono, per esempio:

 

·                      Il paragonare il dialogo con le religioni non cristiane con il deserto è l'immagine suggerita dal titolo del libro di Fabrice Blée, Il deserto dell'alterità. Il deserto, del resto, è il luogo per antonomasia della prova ma anche dell'incontro con Dio.

·                     Inoltre c'è una logica razionale nel dialogo. Io non posso confrontarmi con le verità altrui, affermare di capire la visione dell'altro e poi dire che sono convinzioni false, sciocche o che non hanno alcun valore.

·                     Poi c'è il dovere di accogliere la diversità. Perché accogliere la diversità non è relativismo, non è distruggere la propria identità, ma arricchirla.

·                     Il dialogo con altre culture religiose, infine, è un'opportunità per scoprire ricchezze insospettate all'interno della stessa parola di Cristo.

·                     Infine il dialogo è una forma di missione anche se non è missione. Il dialogo è tra pari, non si cerca di convincere gli altri, come fa la missione, ma intanto mi faccio conoscere, do testimonianza della mia fede.

 

In conclusione, quindi, il DIM porta avanti all'interno della chiesa una missione specifica: quella del dialogo. I monaci dialogano perché il monachesimo è presente in tutte le religioni e trasversalmente simile. Tale attività è dunque al contempo una forma di testimonianza e una forma di arricchimento per la stessa spiritualità cristiana.

 

Paolo Trianni

 

  Contatti: info@dimitalia.com

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