"Si deve sempre rispetto alle religioni altrui.
Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre"

Editto XII 
del re indiano Ash
oka 
(III secolo a.C.)

 

“I monaci per il dialogo tra le religioni:
una via per «andare oltre»”

Livorno
6 dicembre 2019


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A dispetto del freddo e della pioggia, il giorno 6 dicembre alle ore 21, davanti ad un folto pubblico, si è tenuto, presso la chiesa di San Giovanni Gualberto alla Valle Benedetta (Livorno), un incontro dal titolo: “I monaci per il dialogo tra le religioni: una via per «andare oltre»”.

Ha coordinato i lavori Roberta Petta, della comunità di San Giovanni Gualberto, ed hanno partecipato: Raffaello Losan Gompo Longo, monaco buddhista della tradizione tibetana dell’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia; svamini Hamsananda Giri, monaca induista del monastero Gitananda Ashram di Altare; fratel Benedetto Doni, monaco cistercense, e fratel Daniele Chiletti, monaco trappista dell’eremo di San Martino di Agliati, Palaia.

L’incontro è stato organizzato dall’associazione Alberto Ablondi, vescovo che ha sempre avuto a cuore il tema dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso. Ha aperto i lavori don Cristian Leonardelli, parroco della chiesa di San Giovanni Gualberto, salutando i partecipanti.

Il dialogo si è aperto su tre diversi livelli tra loro correlati: che cos’è il DIM (Dialogo Interreligioso Monastico), il modo di viverlo da parte di ciascuno dei relatori e il significato dell’“andare oltre”.

Svamini Hamsananda, storica partecipante agli incontri interreligiosi DIM, ha illustrato che cos’è e qual è il fine del DIM cioè il dialogo interreligioso che, come ha riferito poi fratel Daniele, è stato voluto da papa Paolo VI, durante il concilio Vaticano II e tuttora è sostenuto da papa Francesco. Attraverso il DIM e confrontando le proprie con le esperienze altrui è possibile scoprire aspetti nascosti del proprio essere e che l’altro non è poi così “altro”, in quanto tutti hanno la stessa sete di Dio.
 
Si è entrati quindi nel vivo con una domanda figurata posta da Roberta Petta: “Ci piacerebbe attingere alla vostra esperienza di monaci per capire attraverso quali modi si possa accedere ad una dimensione spirituale che sia come quando si sale in montagna e si respira e si vede. Da molti versanti si arriva camminando per valli e dirupi, ma unica è la cima. E in cima si respira un’aria più rarefatta e pura. Dalla cima tutto è più chiaro e limpido. Vi chiediamo quindi di portarci un po’ di quell’aria e di quella visione”.

Attraverso una serie di semplici domande è stato affrontato il tema del monachesimo in termini di modalità di ricerca. I vari monaci hanno quindi potuto esprimere come si possa accedere ad una dimensione spirituale profonda parlando del “loro essere monaci e del loro rapportarsi a questo dialogo interreligioso”.

Dagli interventi è emerso il valore delle differenze che vanno conosciute e non eliminate, per arrivare a stimare la qualità dell’altro. Attraverso l’altro e grazie a una visione laterale e non frontale di se stessi si ha la possibilità di estendere la propria comprensione e coscienza. È stata sottolineata l’importanza della tradizione, visto che si tratta di religioni dalla storia millenaria.

L’incontro è continuato con letture di testi evocativi che hanno stimolato la discussione e altre domande che hanno messo in risalto la non uniformità dell’essere monaci ma allo stesso tempo l’unità della ricerca e del cammino spirituale vissuti nella forma di vita monastica seguendo le proprie tradizioni religiose.

Ultimo tema toccato è stato il significato dell’“andare oltre”.

Non sono emersi confronti, bensì una medesima passione nella ricerca e nella volontà specifica e comune di costruire e cercare il Sè, l’Uomo nuovo, la dimensione dell’Essere sempre più vicina a quel Tutto dai vari nomi. Le frasi più spesso pronunciate sottolineavano la facilità della comunicazione fraterna: “Tra noi, si sente che sotto c’è la stessa cosa”, “Non abbiamo bisogno di spiegarci”, “Siamo felici di vederci e di condividere ciascuno i propri modi”, “Quando qualcuno di noi perde un caro o un familiare, ci chiamiamo e chiediamo preghiere a ciascuno nel proprio modo”. L’assemblea ha ascoltato attenta, meravigliata, quel coro come di “bambini in purezza, gioiosi e profondi”, respirando la coralità di un messaggio espresso dai diversi colori (porpora, arancio, grigio-blu) ma con la stessa viva fragranza nonché potenza.

L’incontro si è avviato alla conclusione con un momento “magico”, attraverso una preghiera che ciascun monaco ha recitato, o meglio intonato in forma cantata, nella lingua della propria tradizione religiosa. I suoni dolcissimi della preghiera di fratel Benedetto si sono intercalati con l’Om shanti di svamini Hamsananda e la preghiera mirabilmente intonata da Losan Gompo Longo e dalla monaca buddhista che lo ha accompagnanto, nelle suggestive e toccanti profonde tonalità tibetane: preghiere di cui non comprendiamo i significati delle parole, ma di cui percepiamo la potenza evocativa verso un profondo contatto spirituale.

Il finale vero e proprio è stato guidato da Roberta Petta che ha condotto in forma meditativa la preghiera attribuita a san Francesco: Dio, fammi strumento della tua pace…

Roberta Petta

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