"Si deve sempre rispetto alle religioni altrui.
Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre"

Editto XII 
del re indiano Ash
oka 
(III secolo a.C.)

 

Un superamento teologico dell'orientalismo:
l'esperienza di Jules Monchanin e Henri Le Saux

di Paolo Trianni

(Pontificia università gregoriana - Pontificio ateneo Sant'Anselmo)


 
 
[Relazione tenuta presso l'Istituto di scienze religiose di Capua, all'interno del convegno "Il superamento dell'orientalismo: confine di un rinnovato dialogo fra Oriente e Occidente", 1 dicembre 2007].
 
 
L'obiettivo principale dell'incontro odierno, è quello di riflettere sull'orientalismo. Questa parola, come già è stato detto, indica appunto lo studio sulle culture extra-europee.
La questione principale si riassume nel fatto è che questi studi sull'Oriente sarebbero stati, per così dire, impropri, scorretti, con un secondo fine, perché sono serviti alle culture dell'Occidente per costruire la propria identità e rinchiudere quelle orientali in luoghi comuni banali, generalizzanti e superficiali.
È questa la tesi di Edward Said, uno studioso che negli anni '70 ha pubblicato un libro che per titolo, appunto, Orientalismo. In questo libro Said ha analizzato i modi attraverso i quali l'Europa ha costruito la sua falsa o falsificata storia dell'Oriente.
La sua critica, però, non riguardava, in verità, tutto l'orientalismo. Perché l'orientalismo degli ultimi cinquant'anni, per fortuna, è diverso da quello dei secoli passati, si è liberato, potremmo dire, dei suoi difetti d'origine.
Tuttavia, anche oggi, nel senso comune, persiste e continua un'idea distorta e ingenua di Oriente. Ci sono ancora interpretazioni parziali o mistificatorie. Per riportare alcuni luoghi comuni tra i più banali, per esempio, c'è quello che l'islam tenderebbe necessariamente al fanatismo e l'India al misticismo, con tutta una serie di implicazioni sociali e politiche le quali, però, non riguardano specificatamente il nostro tipo di riflessione che è prettamente teologica e filosofica.
Qual è tuttavia il punto dal quale non si può transigere? Il punto è che anche la teologia ha contribuito al cattivo orientalismo. Perché a un'attività politica colonialistica o neocolonialistica ha corrisposto, spesso, un'attività missionaria non illuminata.
Anche i teologi, per esempio, hanno letto in modo approssimato e mistificatorio l'India. Non si tratta semplicemente di un atteggiamento esclusivistico - cioè pensare che la salvezza è solo in Cristo e nella chiesa - ma proprio di una comprensione spesso volutamente fuorviante delle religioni e delle spiritualità dell'Oriente.
All'opposto, invece, per una missione efficace, per un dialogo interreligioso efficace, era necessario recuperare una comprensione obiettiva del mondo orientale, e sperimentare, per così dire, dall'interno, queste religioni, demitizzarle, viverle in un modo realistico.
 
E chi ha fatto questo tra i cristiani? Ci sono stati certamente dei missionari illuminati, è il caso per esempio di Matteo Ricci o Roberto de Nobili, e ci sono stati anche dei convertiti indiani che hanno dato un contributo importante, penso a Brahmabandav Upadhyaya, e ci sono stati anche altri studiosi obiettivi, ma chi ha fatto fare veramente un salto qualitativo alla missione e al dialogo con l'India, superando i pregiudizi e le visioni parziali dell'approccio orientalistico, sono stati Jules Monchanin e Henri Le Saux. Chi erano questi due francesi?
Jules Monchanin era nato nei pressi di Lione nel 1897, entrò giovanissimo in seminario e diventò prete - tra l'altro, per introdurre la sua personalità, va detto che fece con fatica il giuramento antimodernista obbligatorio in quegli anni - e poi, benché tutti lo volessero destinato a una carriera accademica - non ultimo Henri de Lubac, futuro padre conciliare, che lo stimava tantissimo - volle farsi missionario in India. Partì per il sud di questo paese e qui praticamente si è autoesiliato in un piccolo villaggio per diversi anni, finché non lo ha raggiunto Henri Le Saux e con lui ha fondato, nel 1950, l'ashram di Shantivanam, che è storicamente il primo monastero benedettino rispettoso delle tradizioni indiane. Morì a Parigi nel 1957, per una malattia diagnostica in ritardo.
Monchanin è stato un filosofo indubbiamente geniale, e senza le sue riflessioni metafisiche oggi non sarebbe possibile il dialogo interreligioso con l'India. È lui, per esempio, che ha aperto la strada a Panikkar e a tanti altri teologi che si confrontano con l'induismo.
 
La storia di Le Saux è abbastanza simile a quella di Monchanin. Nacque in Bretagna nel 1910 ed entrò a 19 anni nel monastero di Kergonan, dove ha insegnato storia della chiesa e patristica. Questo fu la sua vita per vent'anni, finché non divenne irresistibile l'attrazione dell'India. Qui visse nell'ashram con Monchanin e, dopo la sua morte, viaggiò a lungo vivendo anche presso dei guru indù. Le Saux, però, per tutta la esistenza, ha vissuto una dolorosa lacerazione interiore, perché non riusciva ad armonizzare cristianesimo ed induismo. Nella parte finale della sua vita però - è morto nel 1973 - ha fatto delle esperienze mistiche straordinarie che lo hanno rasserenato. Egli ha vissuto da cristiano quello che gli orientali chiamano "risveglio" o nirvana o samadhi.
 
Qual è il loro messaggio teologico? In gran parte è appunto una reazione e un superamento dei luoghi comuni che aveva seminato l'orientalismo. Ne elenco cinque, i più rilevanti, che sono: il panteismo, l'idealismo, il relativismo, lo yoga e lo gnosticismo.
 
Per quanto riguarda il famoso panteismo indiano - per il quale, appunto, l'uomo e Dio si equivalgono (a parte il fatto che non è sempre così in India) -, Monchanin, ma in parte anche Le Saux, lo superò attraverso la dottrina del pancristismo o cristogenesi, che era un concetto già di Teilhard de Chardin e che si trova anche nella mistica di Eckhart. Se l'advaita indù afferma la fusione fra l'umano e il divino, per Monchanin l'uomo non può uguagliarsi a Dio, e tuttavia evolve verso Cristo, e in lui trova la sua divinizzazione, la realizzazione piena del suo essere.
Le Saux, poi, andando un gradino oltre Monchanin, ha affermato che si deve fare esperienza di Cristo come del biblico "Io sono", cioè come essenza ontologica del proprio essere. Arrivò ad affermare in uno slancio mistico: "Il Cristo per me sono io".
 
Per quanto riguarda l'idealismo, c'è da dire che questa è una convinzione centrale del Vedânta, che è la scuola filosofica più famosa dell'induismo, fondata da Shankara, che è il più celebre pensatore indiano. Shankara, appunto, affermava che il mondo è illusione, non è realmente reale. Il termine tradizionale usato è quello di mâyâ. Le Saux e Monchanin lessero questo idealismo sempre attraverso Teilhard de Chardin per il quale appunto nel mondo c'è un'evoluzione dal non-reale al reale, perché la materia è in realtà vita che si spiritualizza. Essi, comunque, fecero riferimento anche ad un induismo diverso da quello del Vedânta, quello del tantrismo, corrente filosofica la quale parla di un'energia divina che penetra il cosmo. Non è un caso, a questo riguardo, che entrambi, cogliendone la sostanziale affinità, fecero un parallelismo con le energie increate dell'esicasmo di Gregorio Palamas.
 
Per quanto riguarda il relativismo, si dice che l'India sia la terra del relativismo, ed è certamente vero. Specialmente Le Saux, però, tra l'altro ispirandosi proprio al Vedânta, ha distinto due piani di realtà: quello relativo e quello assoluto, e ha dissociato il relativismo dalla relatività. Con ciò egli voleva appunto esprimere che una cosa è dire che dogmi e riti possono essere culturalmente condizionati, e un'altra è dire che non valgono nulla, come invece affermerebbe Shankara. Per Le Saux, nel piano del relativo, riti e sacramenti sono reali ed efficaci.
 
Per quanto riguarda lo yoga ci sono veramente tanti luoghi comuni erronei. Lo yoga puro, però, effettivamente, solleva almeno due problemi: il pelagianesimo (cioè il salvarsi da soli senza la grazia di Dio) e il manicheismo (la visione negativa della materia). Le Saux e Monchanin, tuttavia, considerarono lo yoga non un fine, ma un mezzo che aiuta ad accogliere il dono dello Spirito. Il corpo, sotto questo aspetto, è parte di tale dinamica perché, come si diceva, può appunto accogliere le energie divine. Essi, inoltre, fecero entrambi un parallelismo con la theoria greca, ovverosia con la contemplazione dei padri, menzionando, ad esempio, Evagrio Pontico.
 
Per quanto riguarda lo gnosticismo, sia Le Saux che Monchanin se ne distanziarono nettamente. L'eresia gnostica cercava la salvezza nella conoscenza, ma per questi due monaci francesi la conoscenza non è conoscenza nozionistica, ma è conoscenza-esperienza del proprio fondo ontologico, della propria essenza. E specialmente Le Saux, come dicevo, seguendo i padri della chiesa, penso a Gregorio di Nissa o a Massimo il Confessore, ma anche ai mistici renano-fiamminghi come Eckhart, Taulero e Rusbroeck, lesse questo "fondo" come Cristo stesso. Per cui sperimentare il Sé, l'atman, come dicono gli indù, coincideva a suo avviso con lo sperimentare il Cristo.
 
Alla luce della loro interpretazione di questi cinque punti, si potrebbe menzionare la famosa Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana del 1989 pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dall'allora cardinale Ratzinger, che si fonda proprio su una critica severa ai luoghi comuni che ho riassunto.
Ovviamente sarebbe eccessivo e fuori luogo arrivare a definire "orientalistica" questa lettera, perché, per vari aspetti, è molto bella e molto importante, specialmente nella sua denuncia di talune deviazioni orientalisiche della New Age; tuttavia, se si può fare un appunto a questa Lettera, è quello di aver completamente ignorato la teologia di Monchanin e di Le Saux. Il testo, cioè, presenta i limiti della meditazione indiana secondo gli stereotipi tradizionali e senza tener conto della teologia di coloro che hanno speso la loro vita per costruire un ponte di dialogo e una piattaforma di inculturazione teologica e filosofica.
Questa lettera, del resto, si rifaceva a un articolo di Balthasar del 1973 (pubblicata anche in italiano dal titolo Dalle sponde del gange alle rive del Giordano), che appunto contrapponeva in modo insanabile la preghiera cristiana e la meditazione orientale, ma Le Saux e Monchanin hanno dimostrato che non c'è, in realtà, questo abisso così incomunicabile.
 
Per concludere, quindi, dobbiamo considerare Jules Monchanin ed Henri Le Saux - ma anche il loro successore Bede Griffiths, che ha continuato la loro linea - come i due teologi fondamentali che hanno contributo a superare i luoghi comuni imposti dall'orientalismo, cercando, al tempo stesso, un'intesa religiosa con l'induismo.
La particolarità di questi due missionari è quella di aver cercato di portare non solo Cristo in India, ma anche l'induismo nella spiritualità cristiana.
Ciò è fuori discussione, sebbene ci si potrebbe chiedere: che cosa può dare o dire di veramente nuovo l'India alla teologia cristiana? Proprio i loro collegamenti con la patristica neoplatonica, con la mistica renano-fiamminga, con l'esicasmo, con la sofiologia, con Teilhard de Chardin, infatti, hanno dimostrato che ci sono tanti punti di intesa sui quali poter impostare un confronto teologico che nulla abbia a che vedere con le letture riduttive e superficiali dell'orientalismo.
 
Per finire, due citazioni: una di Le Saux e una di Monchanin, che vorrebbero rappresentare un po' il loro stile teologico.
Scrive Le Saux a proposito di quella distinzione tra relatività e relativismo, attraverso la quale ha cercato di non opporre cristianesimo e induismo:
 
Tra cristianesimo e advaita, non c'è né opposizione né incompatibilità, ma due piani differenti. L'advaita non si oppone a niente. Non è una filosofia ma una anubhava, un'esperienza esistenziale. Tutte le formule cristiane sono valide nel suo ordine, ordine di vyavahâra (manifestazione), non del paramârtha (livello dell'assoluto). Senza dubbio il darsana (pensiero filosofico) cristiano si oppone al darsana vedantico, ma è il puro piano delle dottrine. Nessuna formulazione, foss'anche quella dell'advaita, può pretendere di essere paramârtha (assoluta). Che il cristianesimo abbia storicamente superato i suoi limiti, è un'altra questione (Diario, 23 ottobre 1973).
 
Tale affermazione riassume in fondo una delle critiche tradizionali alla teologia: quella di aver troppo razionalizzato, sotto l'influenza greco-latina, in una forma eccessivamente rigida.
 
Monchanin, che ha sempre guardato all'India come alla terza epoca del cristianesimo, dopo quello giudaica e quella greco-romana, dava le linee metodologiche di questo incontro inevitabile e necessario. Scriveva:
 
La chiesa, nei primi venti secoli della sua storia si è foggiata - nella sua struttura esteriore - sulla civiltà occidentale: oggi, invece, l'esigenza di adottare come rivestimento della chiesa quello di altre civiltà, implica qualche rinuncia, un ritorno alle origini, una dissociazione dell'essenziale dall'accidentale, e soprattutto una interiorizzazione tramite un'intensa vita contemplativa, un primato della mistica sulla liturgia, sulla teologia, sulla filosofia religiosa e sulle istituzioni (Théologie et spiritualité missionnaires, p. 77).
 
Attraverso questi due autori, in definitiva, l'orientalismo può avere una correzione autorevole, quantomeno nella sua accezione teologica.

Paolo Trianni

 

  Contatti: info@dimitalia.com

  Site Map