"Si deve sempre rispetto alle religioni altrui.
Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre"

Editto XII 
del re indiano Ash
oka 
(III secolo a.C.)

 

  Un’eco dell’incontro
di dialogo interreligioso monastico a Taiwan


Monastero buddhista di Fo Guang Shan, Kaohsiung
13-20 ottobre 2018


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Ho partecipato al primo incontro internazionale di dialogo tra monache buddhiste e cristiane che si è svolto nel Monastero buddhista di Fo Guang Shan a Taiwan dal 13 al 20 ottobre 2018. Questo convegno è stato promosso dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso insieme all’Associazione delle superiore maggiori di Taiwan, al Dialogo interreligioso monastico e al Monastero di Fo Guang Shan, vicino a Kaohsiung, nel distretto di Dashu, nel sud di Taiwan. Tema del convegno era “La contemplazione attiva e l’azione contemplativa”, cioè la questione di come viviamo nelle nostre diverse comunità e tradizioni la vita monastica (o la vita religiosa), di come viviamo come monache la nostra vita interiore e a che cosa ci impegna nel nostro mondo odierno.

Le giornate erano scandite dall’ascolto di diversi interventi e da scambi in piccoli gruppi o nella plenaria. Ogni giorno c’erano tre sessioni di lavoro. Inoltre abbiamo visitato alcuni luoghi del monastero: il collegio, la biblioteca e il grande museo del Buddha. La mattina e alcune sere abbiamo partecipato all’ufficio monastico e al pasto della comunità. Quest’ultimo si svolge in silenzio e segue un rituale che in un certo senso prolunga la cerimonia svoltasi nel tempio. Gli altri pasti, durante i quali abbiamo parlato, sono stati serviti in una sala della foresteria e vi partecipavano anche alcune monache della comunità. La cuoca – apprezzata da tutte – è riuscita con grande arte a introdurci nella cultura culinaria dei monasteri buddhisti cinesi.  

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Eravamo 75 partecipanti. I paesi asiatici erano ben rappresentati sia da monache buddhiste, sia da monache o religiose di vita apostolica cattoliche: la grande Cina, Hong Kong, Giappone, Cambogia, India, Sri Lanka, Myanmar, Thailandia, Filippine, Corea del Sud. Per la parte cattolica erano presenti monache dall’America del Nord e del Sud e in tre abbiamo rappresentato l’Europa: una trappista dalla Norvegia, una benedettina tedesca e io dall’Italia. Sfortunatamente l’Africa non era rappresentata. Ho fatto presente agli organizzatori che in una prossima occasione si potrebbe invitare qualche monaca delle chiese ortodosse e della riforma per allargare un po’ il ventaglio della realtà cristiana. Il Consiglio ecumenico delle chiese aveva mandato come suo rappresentante l’attuale responsabile del Centro teologico di Bossey, la dottoressa Simone Sinn. Le lingue di comunicazione erano il cinese e l’inglese: le monache di Fo Guang Shan hanno fatto un servizio di traduzione impeccabile.

Il Monastero di Fo Guang Shan che ci ha ospitato è una fondazione recente (1967). La comunità ha festeggiato l’anno scorso i 50 anni di vita. È composta sia da monaci (100) sia da monache (400). Il fondatore, il maestro Hsing Yun, che vive ancora (92 anni), è originario della regione cinese del Chiangsu ed è entrato a 12 anni in un monastero a Nanjing, nella grande Cina. Il fondatore ha lasciato da tempo la guida della comunità nelle mani dei suoi successori: l’attuale abate, il venerabile Hsin Bao, è il nono. Il Maestro Hsing Yun continua comunque a sostenere, e anche a “ispirare”, la vita del monastero.

Le monache e i monaci promuovono un “buddhismo umanistico”, come lo definiscono. A più riprese abbiamo sentito questa frase: impegnarsi “affinché il nostro mondo diventi uno spazio dove vivere meglio”. I monaci e le monache sono molto “missionari”, per cui hanno fondato templi in tutti i continenti, sia come presenza monastica sia come presenza dell’associazione di laici. Sono impressionanti l’energia, la visione in grande e la forza spirituale che emanano da questo monastero. Oltre a dare testimonianza di una vita umana sana e di una vita monastica seria e ad accogliere tanti pellegrini, sono impegnati soprattutto nel vasto campo dell’educazione e della formazione. Hanno anche una grande sensibilità per l’educazione dei più poveri. Colpiscono molto la forza e la buona preparazione delle monache, che rivestono diversi incarichi importanti, come la direzione e la gestione dell’imponente museo del Buddha e la direzione del collegio.

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Il nostro convegno è stato una ricchissima esperienza di incontri caratterizzati da tanta diversità: a seconda della loro provenienza le monache seguono il buddhismo mahayana o quello teravada, che in ogni paese hanno sviluppato le loro specifiche tradizioni. Accade oggi che in più realtà cerchino di rispondere alle situazioni di bisogno della gente in mezzo alla quale vivono. Da tutta questa diversità buddhista emerge una grande vitalità. Si ha l’impressione di una vita monastica buddhista in pieno fermento e rinnovamento. E le donne sono molto attive, anche in luoghi dove non sono ancora ufficialmente riconosciute come ordine monastico. Sorprende la buona formazione di quelle che hanno partecipato a questo incontro e una loro capacità eccezionale di parola in pubblico. In certi luoghi la vita monastica buddhista sembra offrire alla donna la possibilità di “realizzarsi” pienamente.

Che cosa dire in poche parole di noi monache e sorelle cattoliche, anche da parte nostra una presenza variegata? Il mio sguardo occidentale sulle sorelle orientali avverte subito la necessità di un cammino di inculturazione da proseguire ancora con una più grande franchezza. Alcune comunità hanno introdotto nella loro preghiera, o più in generale nella loro vita spirituale, elementi culturali spesso provenienti dalla prassi buddhista, come per esempio praticare la meditazione zen o fare il ritiro annuale in un monastero buddhista. Tuttavia, da alcune delle cose che ho sentito mi è diventato chiaro che la questione non è facile e richiede molto tempo e molto discernimento. Ci sono alcuni paesi dove cattoliche e buddhiste non hanno nemmeno cominciato a visitarsi e a conoscersi a vicenda, come per esempio in Corea o in Myanmar. Un punto di forza delle sorelle cattoliche viene senza dubbio da quello che è il loro servizio “missionario”; vivono spesso un impegno meraviglioso di dedizione ai più poveri, nella cura dei malati, nell’educazione e nell’insegnamento, anche universitario. L’ultimo giorno a Taipei, con alcune sorelle abbiamo avuto la possibilità di visitare il nuovo ospedale, voluto dalla conferenza episcopale taiwanese, e l’Università cattolica, guidata da tre congregazioni insieme, i gesuiti e i padri e le suore della Società del Verbo divino. Questa visita ci ha messo un po’ più in contatto con la realtà sociale e politica di Taiwan.

A Taiwan vivono anche degli aborigeni, sedici minuscole etnie con sedici lingue diverse. Persone molto povere, che vivono spesso nell’entroterra e sulle montagne. La maggior parte di loro ha abbracciato la fede cristiana cattolica. Ho avuto la possibilità di fare una breve visita in una di queste zone, non troppo lontano del Monastero di Fo Guang Shan.

Una parola sul contenuto del programma del nostro incontro. In apertura del convegno abbiamo ascoltato due relazioni sulle origini, l’evoluzione e la situazione attuale della vita monastica femminile sia nel buddhismo sia nel cristianesimo. Poi sono state presentate dall’una e dall’altra parte le diverse correnti spirituali, così come la prassi che nutre la nostra preghiera e la nostra vita spirituale. Abbiamo avuto la possibilità di partecipare a un esercizio pratico di meditazione zen secondo la tradizione mahayana giapponese e a una meditazione secondo la tradizione teravada svolta da una monaca dello Sri Lanka. Da parte cristiana abbiamo presentato la nostra lettura orante della Bibbia, la preghiera delle ore, la preghiera del rosario e la preghiera dell’adorazione. A me è stato chiesto di presentare la lectio divina e di guidarne l’esercizio pratico con un testo evangelico (l’incontro di Gesù con la donna siro-fenicia secondo l’evangelo di Marco 7,24-30). Poi abbiamo ascoltato la testimonianza del servizio all’umanità di alcune sorelle buddhiste e cristiane. Tutte le relazioni erano seguite da scambi e approfondimenti in piccoli gruppi o in plenaria. L’ultima sessione ci ha impegnate nel racconto di storie di solidarietà vissute tra buddhisti e cristiani e nella riflessione su come possiamo allargare e moltiplicare le occasioni di incontro o le azioni comuni.

Thomas Merton scriveva nel suo Diario asiatico: “Vengo come pellegrino ansioso non tanto di ottenere informazioni o ‘fatti’ riguardo ad altre tradizioni monastiche, quanto piuttosto di abbeverarsi ad antiche fonti di visione ed esperienza monastiche. Non cerco solamente di imparare di più (in senso quantitativo) sulla religione e sulla vita monastica, ma di diventare in prima persona un monaco migliore e più illuminato (in senso qualitativo)”. Anch’io ho cercato di vivere questo mio viaggio verso l’Estremo oriente e quest’incontro tra monache buddhiste e cristiane a Taiwan come un dono spirituale. La prima cosa che mi ha colpita è stata la grande diversità dell’assemblea, diversità tra le tradizioni buddhiste, diversità di provenienza geografica, diversità anche tra le sorelle cristiane. Tutta questa diversità richiede ascolto. Un ascolto profondo e paziente. Un ascolto che non deve pretendere di capire subito, ma che deve semplicemente cercare di accogliere l’altro cosi come è. Un ascolto che è apertura, che si traduce in interesse e desiderio di conoscere, di apprezzare l’altro e, perciò, di mettere a tacere quello che io penso di sapere già o quello che pretendo di sapere. Riconosco che, oltre quello che so e oltre quello che mi è donato di conoscere di più tramite un convegno come questo, resta un mondo da scoprire. Questa consapevolezza è fonte di umiltà e di meraviglia, due atteggiamenti spirituali essenziali per vivere e cercare un’amicizia e una fraternità che crea ponti. Un incontro come questo diventa allora un’esperienza gioiosa che dona la speranza che sia possibile costruire la pace.

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Come monaca cristiana, condividere la meditazione chan (zen) e la recita dei sutra (testi buddhisti) stimola il desiderio del proprio pellegrinaggio spirituale verso una più grande profondità e interiorità. Mi invita dunque alla conversione, a modificare modo di pensare e vivere. Mi sento invitata a scavare di più le risorse spirituali della mia fede cristiana, la sapienza dell’evangelo.

Il contatto con la fede buddhista mi apre a dimensioni umane che, soprattutto nell’occidente, spesso sorvoliamo, come il legame della vita di preghiera con il nostro corpo. Poi mi spinge a un interrogativo sul rapporto con il tempo: la vita spirituale ha bisogno di tempo e bisogna dare tempo al tempo. Nei nostri scambi abbiamo parlato molte volte della vita spirituale come una crescita nella consapevolezza. Riconosco che la mia fede cristiana invita anche me a una profonda ricerca di illuminazione, di accoglienza della luce e della vita che ci sono offerte dal Signore Gesù. E che per accogliere questi doni occorre una spogliazione, un distacco da tutto quello che lo impedisce. In altre parole, per vivere una vita spirituale cristiana autentica occorre entrare in una semplificazione e in un’“essenzializzazione” sia del nostro stile di vita, sia di tutta la nostra persona. Il contatto profondo con il buddhismo ce lo può fare riscoprire.

Al cuore del buddhismo troviamo la compassione. Al cuore della fede cristiana cerchiamo l’amore misericordioso e compassionevole. La compassione e la misericordia esprimono la profondità di un amore che non fugge la realtà della sofferenza. Il passaggio attraverso ciò che diminuisce l’umanità e che fa soffrire l’essere umano è il banco di prova della vita spirituale. Condividere i cammini spirituali tra buddhisti e cristiani può essere per ciascuno un grande sostegno nel proprio pellegrinaggio interiore.

L’incontro tra fedi diverse, se la diversità è sorretta bene e se vissuta con maturità religiosa, rinunciando alla tentazione di ridurre l’altro a me e alla mia tradizione o viceversa, mi apre a una più grande comprensione dell’amore e della fratellanza cristiana, che riconosce nell’altro la visita di Dio. In questo senso non è azzardato affermare che il dialogo interreligioso per noi cristiani può essere un terreno fecondo dove vivere un’autentica esperienza di comunione.

sr. Alice Reuter, monaca di Bose

 

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