Concilio Vaticano II
1963-1965
(sessioni III-IV-V)
1963-1965
(sessioni III-IV-V)
Il documento che tratta esplicitamente il tema è costituito dalla dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate (= NA) del 28 ottobre 1965, cioè durante la IV sessione. È pertanto utile, prima di esaminare questo testo, rifarsi alla (Lumen gentium = LG) approvata durante la sessione precedente (1964) e ai testi di portata generale emanati durante la stessa sessione (Gaudium et spes = GS, Ad gentes = AG) o a quello affine di (Dignitatis humanae = DH), anche se approvato due mesi dopo (7 dicembre 1965). Facciamo riferimento ai testi principali e più significativi limitatamente ai tre aspetti assunti nella griglia di lettura.
1. La salvezza dei non credenti è opera della grazia attraverso vie misteriose
Nel contesto del capitolo II sul popolo di Dio si parla di quelli che non hanno ancora ricevuto il vangelo e sono “in vari modi ordinati al popolo di Dio” e si afferma: «Infatti, coloro che ignorano il vangelo di Cristo e la sua chiesa senza loro colpa, ma cercano sinceramente Dio, e sotto l’influsso della grazia si sforzano di compiere fattivamente la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, costoro possono conseguire la salvezza. Anche a coloro che senza colpa personale non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta, la provvidenza divina non rifiuta gli aiuti necessari alla salvezza. Infatti tutto ciò che di buono e di vero si trova presso di loro, la chiesa lo considera come una preparazione evangelica, come un dono concesso da colui che illumina ogni uomo, perché abbia finalmente la vita» (LG 16) [6].
Di questo tenore, con un accento posto sulla conformazione al mistero pasquale come via necessaria della salvezza, si esprime la GS 22: «E ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale».
Per il concilio la grazia è universalmente necessaria per raggiungere la salvezza: «La fede e la chiesa non sono assolutamente indispensabili, purché si tratti di un’ignoranza invincibile delle realtà in questione e si viva secondo coscienza» [7]. La novità del Vaticano II si coglie soprattutto a riguardo dell’accento deciso sulle affermazioni generali della salvezza anche di chi non è cristiano e pertanto sul ridimensionamento dell’assioma “extra ecclesiam nulla salus”.
Per quanto riguarda invece la fede i testi si muovono nella direzione della dottrina precedente al concilio: attraverso vie misteriose la salvezza è offerta a ogni uomo. Infatti, propriamente qui non si parla del valore delle religioni, ma sembra [8] piuttosto che si parli del valore della coscienza: non le religioni, ma l’obbedienza alla coscienza e la grazia salvifica di Dio sono designate come vie di salvezza.
2. Le religioni riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini
Nel concilio vi sono però anche passi che sembrano richiamare esplicitamente gli elementi oggettivi delle tradizioni religiose e non semplicemente – come i precedenti – i valori della vita religiosa individuale: «[La chiesa, predicando il vangelo], procura poi che quanto di buono si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato, perfezionato a gloria di Dio, confusione del demonio e felicità dell’uomo» (LG 17) [9].
Il capitolo 2 del decreto sull’attività missionaria invita poi tutti i cristiani che vivono in mezzo ai non cristiani a «conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo, che in essi si nascondono [...] Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dello Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini, in mezzo ai quali vivono, e improntare le relazioni con esse a un dialogo sincero e comprensivo, dimostrando tutte le ricchezze che Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli, e insieme tentando di illuminare queste ricchezze alla luce del vangelo, e di liberarle e di riferirle al dominio di Dio Salvatore» (AG 11).
Il nr. 2 della dichiarazione sulle relazioni fra la chiesa e le religioni non cristiane costituisce, dal punto di vista dottrinale, il cuore del documento stesso: qui nel titolo si parla esplicitamente di “religioni non cristiane”, e all’inizio di questo stesso numero si dà una rapida descrizione in positivo delle religioni orientali (induismo, buddhismo, altre religioni) riconoscendo che «non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». Il paragrafo termina, però, facendo riferimento ai valori spirituali presenti nei singoli [10].
Queste affermazioni – come spesso avviene nel Vaticano II – si fermano a metà strada: non viene detto se i non cristiani si salvano “nonostante, nelle, o per mezzo delle religioni”. È quindi iniziato un lavoro di interpretazione con esiti assai diversi.
Secondo Jacques Dupuis, queste affermazioni vanno lette in relazione con le affermazioni del concilio sulla presenza universale dello Spirito santo che agisce oltre i confini del gregge dei cristiani [11]. Secondo Mariasusai Dhavamony, invece, «il concilio non intende entrare in merito alla questione del modo e del grado di appartenenza delle religioni alla storia della salvezza. Esso non ha voluto pronunciarsi né riguardo al contenuto e alla natura della rivelazione in esse presenti, né circa l’eventualità del loro permanere fino alla fine del mondo. Inoltre il concilio non dice niente sull’origine storica della religione o delle religioni, sulla condizione dei rispettivi fondatori, sulla presenza nelle religioni di elementi della rivelazione originaria», rivelazione per altro affermata in Dei Verbum (= DV) 3. E pertanto il concilio non si discosterebbe dell’affermazione che la chiesa cattolica è l’unica via ordinaria di salvezza (cf. DH 1) [12].
3. Il dialogo come “habitudo” a servizio dell’evangelizzazione
Qualunque interpretazione si scelga a riguardo del valore delle religioni, è comunque certo anzitutto che il valore attribuito dal concilio al dialogo è, se non limitato, almeno indeterminato.
Si parla certo di dialogo in diversi documenti e in diversi campi: ecumenico (Unitatis redintegratio = UR), interreligioso (NA), non credenti (GS) e missionario (AG), ma ciò che accomuna queste diverse forme più che il valore del dialogo in sé come attività specifica o come metodo con regole proprie [13], sembra essere un clima di incontro e di collaborazione, una disponibilità a comprendere più che a condannare [14]. Il titolo stesso del decreto NA, e cioè De ecclesiae habitudine ad religiones non christianas, indica il dialogo come modo di rapportarsi, di atteggiarsi [15]. In questo senso, «in quanto spirito interiore e approccio metodologico che deve plasmare ogni azione ecclesiale» non vi può essere evangelizzazione senza dialogo [16]. Così era prevedibile il sorgere del sospetto da parte dei non cristiani che il dialogo non fosse altro che un modo più sottile e aggiornato di evangelizzazione.
Rimane aperta invece la domanda se si riconosca un qualche spazio e un qualche valore al dialogo come attività distinta rispetto alla evangelizzazione esplicita (intendendo come evangelizzazione l’annuncio esplicito per suscitare l’adesione alla fede). La questione rimanda a quella più generale sul modo di intendere la missione della chiesa: o come semplice plantatio ecclesiae o come “epifania” di una salvezza già presente che tende alla sua pienezza. Tenendo conto del lavoro successivo di chiarificazione, possiamo dire che nel Vaticano II complessivamente prevale ancora l’idea di evangelizzazione come “fondazione della chiesa”, e pertanto anche il valore del dialogo risulta assai limitato: esso non sembra essere una via di evangelizzazione o parte integrante dell’evangelizzazione [17]. E anche nei testi in cui sembra essere presente una nozione più ampia di missione e di evangelizzazione (cf. AG 11, GS 92) resta indeterminato il valore del dialogo interreligioso, nel senso che «non si fa alcun riferimento esplicito al dialogo interreligioso
come elemento costitutivo a esse intrinseco» [18].
[6] Ci rifacciamo in questo caso alla traduzione riportata in Enchiridion vaticanum I, EDB, Bologna 200218, nr. 326, p. 505.
[7] K. J. BECKER, De gratia, Pontificia università gregoriana, Roma 1990, p. 192.
[8] Così M. DHAVAMONY, “Evangelizzazione e dialogo nel Vaticano II e nel Sinodo del 1974”, in Vaticano II. Bilancio e prospettive II, a cura di R. Latourelle, Cittadella, Assisi 1987, pp. 1217-1233, qui p. 1225. Così pure J. RATZINGER, “Necessità della missione della chiesa nel mondo”, in La fine della chiesa come società perfetta, a cura di M. Cuminetti, Mondadori, Verona 1968, pp. 67-77, qui p. 73.
[9] Riportato anche in AG 9.
[10] «(La chiesa) perciò esorta ì suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana essi riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali, e socio-culturali che si trovano in essi» (NA 2).
[11] J. DUPUIS, “Dialogo interreligioso e missione evangelizzatrice”, in Vaticano II. Bilancio e prospettive II, pp. 1234-1256, qui p. 1238.
[12] «Quest’unica vera religione crediamo che sussista nella chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini».
[13] È ben vero che in GS 92 viene ripresa (in modo inverso) la distinzione dei quattro cerchi concentrici del dialogo proposta dall’ES, tuttavia si tratta del numero conclusivo della costituzione, e bisogna pure ricordare che il rapporto che la costituzione vuole esaminare è quello chiesa-mondo, e non chiesa-religioni.
[14] In questo senso può essere considerato come riassunto DH 3: «Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando i mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza. La verità va però ricercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l’aiuto del magistero istituzionalizzato, per mezzo della comunicazione e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta e che ritengono di aver scoperta, e alla verità sconosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale».
[15] Cf. G. BUTTURINI, “Chiesa e religioni non cristiane”, in Credere oggi 1/3 (1981), p. 98.
[16] M. DHAVAMONY, “Evangelizzazione e dialogo”, p. 1228.
[17] Sebbene, secondo Dhavamony, ciò «oltrepassa una concezione del dialogo visto come puro mezzo di conoscenza oppure come prova di uno spirito aperto» (ibid., p. 1229).
[18] J. DUPUIS, “Dialogo interreligioso”, p. 1239.